Durante l'ennesima seduta notturna il nostro consiglio dei ministri si è espresso anche sulla discussa Web Tax eliminando la clausola principale di quello che era il testo originale del provvedimento, ovvero l'obbligo di partita IVA italiana per le società straniere che operano nel settore e-commerce in Italia.

Era una proposta di provvedimento assurda, in netto contrasto con la libera circolazione di beni e servizi sancita dall'UE, in contrasto persino con la stessa ragion d'essere dell'Europa. Non si può assolutamente pensare di risolvere un problema internazionale e delicato come quello, con una normativa interna italiana, qualcuno evidentemente però deve averlo pensato.

Mettiamo che la legge fosse passata e quindi attiva, e l'europa per una qualche ragione non si sia ancora pronunciata in merito. Cosa farebbe un azienda che paga i beni e i dipendenti del suo operato all'estero se fosse obbligata ad aprire una partita IVA per vendere in Italia? Si sentirebbero obbligate a produrre in Italia? Altrimenti si andrebbe incontro ad un non-sense fiscale e contabile in cui lo Stato di provenienza dell'azienda si troverebbe in una parte di svantaggio, perderebbe cioè i ricavi,che resterebbero in gran parte in Italia sotto forma di tasse, dei beni per la cui produzione ha sostenuto in parte i costi. Va dà sè che potrebbe nascerne una controversia internazionale. L'unica possibile conseguenza in caso di web tax approvata così com'era in partenza sarebbe stato l'isolamento dell'Italia dal mercato internazionale di compravendita di beni sul web.

Il Forbes e il Financial Times si sono affrettati a dichiararla illegale.

Google e Facebook hanno sede fìscale in Irlanda, data la normativa lì vigente in materia, e Amazon in Lussemburgo.Le cose comunque non si sono risolte con la modifica del provvedimento originale, vediamo come le problematiche di base rimangono.

Secondo il vecchio testo del provvedimento avrebbero dovuto aprire la Partita Iva anche in Italia.

Nel provvedimento approvato ieri sera invece rimane l'obbligo di partita iva per la pubblicità online e per il diritto d'autore. Significa che le vendite degli spazi pubblicitari in rete (.it) saranno tassate in Italia invece che all'estero come succedeva prima. Il servizio studi della Camera si è espresso in giornata dichiarando che "sarà necessario valutare la compatibilità delle disposizioni riformulate con la normativa comunitaria in materia di libertà di circolazione e libero scambio." Come era stato previsto.

La natura della legge infatti è rimasta la stessa nonostante la modifica, in quanto essa sancisce che gli spazi pubblicitari in rete e i link sponsorizzati vanno acquistati necessariamente da concessionarie con partita iva italiana, andando a penalizzare il nostro mercato rispetto all'Europa, dove non esistono e non possono esistere leggi simili.

Ci si auspica che a questo punto il nostro governo raduni una commissione di esperti competenti in materia per tirare fuori proposte che stiano in piedi e che, magari per una volta avvantaggino i consumatori. O almeno il mercato italiano.