Con 160 voti favorevoli il Senato ha approvato ieri il disegno di legge Delrio sul riordino delle autonomie locali. Sembra avviarsi alla conclusione la prima travagliata fase di riforma delle Province che ora attende solo il via libera definitivo della Camera. Giunge al traguardo una riforma di cui si discute ormai dal lontano dicembre 2011, quando venne per la prima volta predisposta una prima versione della riorganizzazione delle province (con una loro riduzione), poi cassata dalla Corte Costituzionale, nel decreto Salva-Italia dal Governo Monti.

La nuove province

Intanto diciamo che la riforma non prevede l'abolizione delle province ma una loro trasformazione in ente di secondo grado non elettivo. Il risparmio maggiore ad oggi viene operato attraverso la riduzione del controllo democratico sul territorio. Sono introdotte dal 2015 le 9 città metropolitane (più Roma Capitale) di cui si discute dagli anni '90 del secolo scorso (!?) mentre le province si baseranno sul concetto di area vasta, ovvero una dimensione relazionale intermedia fra Regioni e Comuni con la quale attuare un'agile e flessibile pianificazione strategica del territorio.

Governance e competenze

La nuova provincia sarà retta dal sindaco del comune capoluogo e gestirà un consiglio composto da 10/16 membri scelti fra l'assemblea degli amministratori del territorio (sindaci e consiglieri).

Tutte le cariche saranno a titolo gratuito. Le competenze delle nuove province sarà di pura pianificazione per quanto riguarda ambiente, trasporti e mobilità mentre i nuovi enti manterranno la gestione diretta dell'edilizia scolastica. Tutte le altre funzioni verranno ripartite fra comuni e regioni così come patrimonio e personale (gioie e dolori).

La legge prevede infatti una sorta di autogestione fra regioni e comuni nella riorganizzazione e su questo punto il brivido è d'obbligo poiché si potrebbero prefigurare (e spero vivamente di sbagliarmi) anni di conflitto amministrativo alimentato dai professionisti del settore.

Rischi e dubbi

I precedenti non sono peraltro rassicuranti: la riforma del titolo V della Costituzione ripartì male le competenze fra Stato e Regioni e introdusse il demenziale concetto di "legislazione concorrente" nell'ordinamento costituzionale, elemento questo che ancora oggi costituisce uno dei fattori di maggiore inefficienza della Pubblica amministrazione in termini organizzativi, di costo e di conflittualità amministrativa.

Speriamo di non assistere con le nuove province alla nascita dell'ennesimo mostro amministrativo governato dalla burocrazia dell'incertezza. Il governo sembra intenzionato ad operare nei prossimi mesi una revisione complessiva del sistema delle autonomie con la riforma del Senato e del Titolo V.

Ma qui ormai siamo nel campo della fede e non ci rimane che aspettare e vedere. Tutto risolto quindi? No, bisogna attendere che venga approvato un disegno di legge costituzionale con tanto di procedura rafforzata che cancelli la parola Provincia dalla Costituzione, declassandone definitivamente il rango. Intanto, nel calderone della lotta politica finisce anche l'analisi dei risparmi potenziali con il Governo che punta al miliardo, l'Upi che ovviamente resiste e li declassa a 100 milioni e la prudente relazione tecnica del Senato che accompagna il provvedimento che mette tutti in guardia sul fatto che i costi potrebbero addirittura aumentare (ricordate il mitico federalismo del titolo V?) se il passaggio venisse gestito male.



Insomma, quello che è certo è che gli italiani non andranno a votare per le ormai decadute province. Risparmio? 300 milioni. La sensazione è che lo spirito riformatore sembra essersi sempre più trasformata in sindrome da outlet: a rafforzare questa impressione c'è il governo che ieri, trovandosi un po' in difficoltà sulle province, ha piazzato il rinforzino mediatico proponendo l'asta delle auto blu su Ebay.

Agli italiani andrebbe spiegato che devono pretendere che le cose funzionino, non che costino poco. Le cose di poco prezzo, poco valgono. E' la base dell'economia di mercato. Speriamo che il Governo Renzi abbia la pazienza e la fermezza di operare cambiamenti utili con la consapevolezza che per ottenerli dovrà lottare duramente senza ricorrere alle scorciatoie della demagogia che tanti danni hanno già prodotto all'Italia.