Domenica 27 aprile 2014 passerà alla storia come un giorno straordinario: la santificazione di due papi alla presenza di altri due.

Se si va oltre l’effetto mediatico dell’evento, però, occorre esprimere alcune considerazioni.

Il costo dell’evento. Undici milioni di euro sborsati da Roma capitale, appena “salvata” dall’intervento dello Stato, solo minimamente coperti (cinquecentomila euro) dal Vaticano.

Una cifra non certo in linea con i proclami di povertà e di sobrietà rispolverati da Papa Francesco e per di più a carico di credenti, ma anche di non credenti e di cittadini appartenenti ad altre religioni.

Papa Roncalli e Wojtyla sullo stesso piano. Se pensiamo alla storia dei due pontefici appare assai discutibile la scelta di santificare due personalità così diverse e così distanti nel modo di concepire la chiesa. Il primo, rivoluzionario per i suoi tempi (si pensi al Concilio vaticano II), tenace difensore della pace (si pensi all’appello per la pace nell’ottobre del 1962 ed alla lettera inviata a Kruscev in piena Guerra Fredda), sostenitore di una fede genuina e poco incline all’idolatrìa (si pensi alla sua diffidenza nei confronti di personalità come Padre Pio).

Il secondo, omologatore e sostenitore dell’assolutezza della dottrina (si pensi allo smantellamento della teologia della liberazione in America Latina), politico discutibile più che pastore di anime (si pensi al suo appoggio a Solidarnosc ed alla sua apparizione con Pinochet), complice di vicende poco chiare (il silenzio assordante e la copertura di casi di pedofilia nella chiesa e tra i suoi cardinali; la copertura di Marcinkus e lo scandalo IOR).

Ciò che appare chiaro, al di là delle differenti impostazioni del ruolo, è la diversa interpretazione dell’essere Chiesa da parte dei due Papi che rende quanto meno discutibile l’accostamento delle due figure e la santificazione di entrambi.

La partecipazione della gente. Non è passata inosservata la moltitudine di persone che ha preso parte all’evento.

Una partecipazione che più che una reale testimonianza di fede, appariva (in tanti, intervistati, lo hanno esplicitato) come la volontà di “esserci” ad un evento unico (come ai concerti delle più famose stars contemporanee), tanto da indurre i più critici osservatori ad una fatidica domanda: che cosa rimarrà della santificazione ad esperienza finita ?

Una fede matura, forse, richiederebbe maggiori interrogativi in merito al modo di coniugarla nella quotidianità ed in merito ai testimoni del nostro tempo.

“Esserci” ed a tutti i costi agli eventi oceanici della Chiesa, forse, risponde più ad una puerile necessità umana di visibilità e di compartecipazione emotiva dei fedeli, ma molto meno all’esigenza, ormai improcrastinabile, di una rifondazione dell’esperienza religiosa che passi attraverso una più silenziosa e semplice vicinanza ai dettami del Vangelo.

Meno fans per le autorità ecclesiastiche e più lievito tra e con la gente: ai credenti la scelta ed ai posteri l’ardua sentenza.