Il ministro Lupi ha dichiarato che le armi chimiche, sequestrate in Siria, caricate su un bastimento danese e stipate in 60 container, approderanno al porto di Gioia Tauro per essere poi dislocate su una nave americana e smaltite in luogo da definire ma sicuramente nell'area mediterranea.

Ma oltre al danno, pensato alle spalle degli amministratori locali e dei cittadini ignari, c'è anche la beffa nelle parole del ministro Lupi quando aggiunge che "dovremmo essere orgogliosi perché questo porto è un'eccellenza italiana che gestisce ogni giorno prodotti chimici di questo tipo".

Un porto "esperto", dunque, capace di smaltire qualunque tipo di armamentario chimico, ma non la pensano così i portuali di Gioia Tauro, preoccupati di dover svolgere il loro lavoro a stretto contatto con sostanze di cui non conoscono gli effetti.

Le fasi dell'operazione prevedono la distruzione degli agenti chimici mediante idrolisi a bordo della nave americana Cape-Ray che partirà dalla Virginia nei prossimi giorni, raggiungendo Gioia Tauro nella prima settimana di febbraio.

Come prevedibile si è scatenato un acceso dibattito tra politica locale e statale: gli uni rivendicano il diritto di essere almeno informati sull'operazione e sul suo svolgimento e gli altri decantano l'impegno del paese, anche notevolmente oneroso, in questa che viene definita un'operazione di pace e "pulizia bellica".

Insieme a queste parti in causa ci sono poi studiosi di ogni materia che sollevano domande e interrogativi e pareri contrastanti sulla pericolosità della missione, che anche se svolta in luogo competente è soggetta come tutte le azioni a una certa imprevedibilità.

C'è anche chi, ma la voce al momento è solo un sussurro, sostiene che non ci sarà alcuna distruzione ma che le armi chimiche saranno sotterrate nell'ex base militare USAF situata a 1800 mt sul livello del mare, sulla cima del monte Nardello, nel comune di Roccaforte del Greco, nel cuore del Parco Nazionale dell'Aspromonte.

Non è nemmeno ipotizzabile una tale teoria che esporrebbe il territorio a rischi spaventosi con esposizioni gravissime per il pregevole ecosistema.

Ma escludendo questa che è la peggiore delle ipotesi resta il fatto che mal si combina l'azzurro del cielo e del mare, il profumo intenso dei gelsomini e del bergamotto , il calore umano della nostra gente con quel che resta di ciò che ha generato morte e distruzione.

Non si capisce perché lo scenario di questa operazione deve essere necessariamente allestito nel Mediterraneo e in una terra che, giustamente, vuole difendere quel poco che ha nella bellezza del suo territorio. Non è chiaro nemmeno perché, in un momento di lampante crisi economica, ci siamo impegnati in questa operazione che comporta inevitabilmente un notevole impegno economico.

Molte domande non avranno risposta: resta il fatto che, nonostante i pareri discordi, l'operazione farà il suo corso senza chiarezza sulle possibili conseguenze.