Lariforma delle Pensioni targata "Fornero", e particolarmente l'assurdo "scalone" creato per i nati negli anni 1952-1953 con39-40 anni di contribuzione, ha scontentato tutti senza produrre (ormai è undato quasi universalmente riconosciuto) gli attesi vantaggi in termini dicrescita e di maggiore fluidità del mercato del lavoro.

Ineffetti:

-i giovani disoccupati, bloccato il turnover per 2-3 anni, continuano a trovareoccupati quei posti che i lavoratori più anziani sono costretti a non lasciare;

-gli anziani occupati vedono stravolti i loro progetti di vita, costruiti su unimpegno pluriennale unilateralmente non mantenuto dallo Stato;

-è stata creata la nuova categoria degli esodati, di fatto defraudati di undiritto palesemente derivante da accordi sindacali incoraggiati dalla precedenteamministrazione;

-le aziende sono costrette a mantenere in carico dipendenti stanchi e spessodemotivati, non potendo più utilizzare la naturale leva del turnover per abbatterei costi ed immettere nuove risorse "fresche"

Dadestra e da sinistra, quotidianamente giungono interventi sulla necessità dimodificare la legge Fornero, anche se finora nulla o quasi s'è fatto né alcunaipotesi risulta rapidamente concretizzabile.

Lospauracchio utilizzato per porre paletti è costituito dalla fatidica "copertura"dei costi. Maè proprio davvero questo il problema ?

Facciamoun'ipotesi che, almeno sulla carta, sembrerebbe aprire qualche spiraglio utilea stemperare gli effetti deleteri di quella legge ed aprire, con numeri tutti davedere, il mercato del lavoro a nuovi ingressi.

Lo Stato dovrebbe consentire l'accesso, su base volontaria, alpensionamento a quanti raggiungono, ad esempio, quota 100 (con almeno 60 annidi età).

L'azienda interessata (che, con le vigenti regole, non potrebbe altrimenti rinnovare il proprio personale) dovrebbe essere tenuta a procedere all'assunzione a tempo indeterminato di ungiovane (intendendosi tale fino a 35 anni di età).

Intal modo, lo Stato potrebbe contabilizzare:

-un aumento degli oneri per pensioni (anticipato rispetto alle previsioniattuali);

-minori esborsi per il cessato sostegno alreddito dei nuovi assunti;

-l'allargamento della base imponibile dell'Irpef ed un conseguente aumento delrelativo gettito fiscale;

-un possibile incremento del gettito delle imposte societarie, derivante da contenimentodei costi e da maggiori redditi d'impresa (per effetto del conseguente aumentodei consumi);

-un incremento del gettito dell'Iva, in funzione dell'aumento della domandainterna di consumo generata dai redditi dei nuovi lavoratori dipendenti.

Losbilancio contabile resterebbe sicuramente negativo, ma lo Stato potrebbe coprire quel deficit medianteinterventi, inattaccabili sul piano dell'equità e della solidarietàgenerazionale, del tipo:

-incremento, per 3-4- anni, dell'aliquota marginale Irpef dal 43% al 44% (eticamente giustificabile, per chi guadagna tanto da raggiungere quell'aliquota,sacrificare una piccola quota di reddito, per un intervento finalizzato aristoro delle nuove generazioni);

-addizionale Irpef, per un periodo di 3-4 anni, per i soli giovani neo-assunti,pari all'1-2%;

-penalizzazione, per lo stesso periodo di 3-4 anni, dei "pensionandi"pari all'1-2% (giustificandosi così la base volontaria dell'acceso allapensione);

- destinazione al progetto (in linea con le richieste della Consulta) dei proventi di un contributo di solidarietà, da porre a carico, sempre per 3-4 anni, dei percettori di pensioni superiori a 70.000 euro lordi annui.



Uncontesto simile, fondato sulla temporaneità, in quanto proiettato verso un auspicabile periodo di crescita generalizzata, potrebbe forse aprire qualche spiraglio nel confronto con impresee sindacati che, a fronte della creazione di posti di lavoro, potrebbero essereindotti a valutare in maniera costruttiva eventuali ulteriori sacrifici temporanei e finalizzati anche in altri ambiti.

L'attodi coraggio della classe politica italiana consisterebbe nel non difendere apriori la drastica precedente scelta, consentendo al contempo di mostrarsiindipendenti dalle pressioni di alcuni Stati membri dell'UE, ciascuno dei qualitira l'acqua al proprio mulino, ovviamente (purtroppo) disinteressandosi deiproblemi altrui.

D'altro canto, per tirarsi fuori dal guado, o ci si dà tutti una mano o si affonda tutti.