Il leader talebano Adnan Rasheedscrive una lettera di scuse alla giovane Malala, divenutasimbolo, suo malgrado, del desiderio di emancipazione delle donnemusulmane. Il 19 ottobre del 2012 la ragazzinapachistana era stata colpita alla testa in un attentato terroristico daparte dei talebani. Malala rivendicava solamente il diritto allostudio. Si è salvata solo grazie alla solidarietà internazionaleche le ha concesso le cure più appropriate in un ospedale di Londra.

Excusatio non petita, accusatio manifesta:la lettera di Rasheed, leader del gruppo Teherik-e-Taleban (Ttp), haqualcosa di per sé eccezionale.

Nei pochi commenti espressi (lamissiva è stata visionata dall'emittente britannica Channel 4)emergono tratti confusi e contraddittori: il leader, che afferma discrivere a titolo personale, si dice pentito per quel gestoche lo ha scioccato, ma tenta confusamente di giustificarne leragioni. La ragione di quell'attentato, dice, non era condizionatadalla rivendicazione della giovane per il diritto all'istruzione, mavoleva far tacere una voce che gettava discredito sul movimentotalebano che cerca, con la sua discutibile lotta, di stabilire unsistema islamico nello Swat.

Rasheed si spinge ancora oltrechiedendo a Malala, che ha già ricevuto la solidarietà dell'ONUnel suo accorato discorso alle Nazioni Unite, di ritornare inPakistan per mettere le sue capacità a servizio dell'Islam.

Stranarichiesta da parte di chi aveva tentato di chiudere definitivamentela bocca di questa giovane dissidente, ma appare evidente chequell'azione mal riuscita da parte dei fanatici talebani, si èrivolta a loro svantaggio, facendo di una vittima un simbolo.Grave errore politico. Questa vicenda ci fa capire, ancora una volta,che le parole e la critica sono molto più efficaci delle armi,quando riescono a scuotere le coscienze. Malala ha già affermato:"Non sarò ridotta al silenzio dai talebani". Un esempio dicoraggio che ci fa vedere come la pace sia ancora un obiettivopossibile.