Il primo marzo 1983 venne lanciata l'ultima novità dell'industria degli orologi svizzera: lo Swatch. Rischiava sul serio di essere uno degli ultimi in assoluto, perché il settore stava lentamente fallendo. La storia dello Swatch è quella di un grande ritorno ma anche un caso esemplare di come si crea, oggi, un prodotto di successo. È una storia che ha un protagonista, un minerale, il Giappone e il cantante Moby.

Gli svizzeri sono sempre stati nelle prime posizioni in classifica nella produzione di orologi da polso: Patek Philippe, Cartier.

Dopo la Seconda guerra mondiale risultava la produttrice e l'esportatrice di circa metà degli orologi che si vendevano e acquistavano nel mondo.

Solo gli americani TIMEX, che usavano metalli duri per i meccanismi invece di pietre preziose minarono quel dominio fino ad allora incontrastato.

Arrivarono gli anni Sessanta e l'innovazione che rischiò di interrompere la lunga e gloriosa tradizione svizzera. In poche parole nasceva l'orologio analogico al quarzo. Vibrazioni – simili a quelle di un diapason – di un piccolo cristallo di quarzo, che garantisce una precisione superiore a quella di qualsiasi orologio meccanico. Gli svizzeri lavoravano da tempo a questa Tecnologia ma vennero battuti sul tempo dalla giapponese Seiko. La seguirono Citizen e Casio.

L'industria svizzera degli orologi, che aveva fatto il grave errore di considerare gli orologi al quarzo una moda passeggera, perse in pochi anni due terzi dei suoi addetti e altrettanta quota di mercato.

Le banche creditrici affidarono allora a un abile e ricco consulente aziendale di Zurigo, Nicolas G. Hayek, uno studio per capire che cosa si potesse salvare o per come vendere ai giapponesi al prezzo migliore e di fatto concludere la pluricentenaria tradizione di orologi del paese.

Hayek era un cinquantenne nato in una ricca famiglia del nord del Libano e trasferitosi in Svizzera negli anni Cinquanta, dopo il suo matrimonio con la figlia di un industriale del paese alpino.

Si convinse che si poteva preparare il lancio su larga scala di un nuovo genere di prodotti a cui stavano lavorando da alcuni anni un gruppo di ingegneri, un orologio sottile e altamente tecnologico, il progenitore dello Swatch. Nel 1983 e nacque la SMH (Societé Suisse de Microelectronique et d'Horlogerie) mentre cominciarono i grandi cambiamenti che avrebbero portato alla produzione dello Swatch: in tutti i settori, dalla produzione alla distribuzione alla pubblicità.

Per produrre gli Swatch vennero semplificati e automatizzati gran parte dei processi industriali, in modo da rendere gli orologi più economici e producibili in massa. La più importante e celebre di queste trasformazioni fu la drastica riduzione del numero di componenti dell'orologio, portandolo da più di cento a una cinquantina circa.

Le prime collezioni degli Swatch, si presentavano con colori vivaci e con qualche altra pensata notevole – come il quadrante trasparente che lasciava vedere sotto di sé il meccanismo – che poi diventò persino bizzarra, come gli orologi profumati.

L'altro elemento era la varietà resa possibile dall'utilizzo della plastica per la cassa e il cinturino. Vennero lanciati in pochi anni decine e decine di modelli diversi, mantenendo invariate le caratteristiche produttive fondamentali (e quindi il prezzo) ma cambiando il design e i colori.

In pratica, un invito al collezionismo.

Sostenuti da una grande campagna pubblicitaria gli Swatch diventarono di moda. Più ancora che di moda: diventarono uno dei simboli degli anni Ottanta. Gli Swatch cambiarono anche il modo di fare pubblicità degli orologi, vendendoli come un prodotto giovane e accessibile in campagne pubblicitarie molto creative e aggressive.

Una chicca? Spesso si pensa che il nome abbia a che fare con la Svizzera, anche perché il marchio ufficiale è formato appunto dal nome e dalla croce bianca su sfondo rosso. In realtà, "Swatch" è un'abbreviazione di "second watch", per promuovere l'idea che i consumatori ne avrebbero comprato più di uno.

L'idea su cui si investì, centrale per il suo successo, era che l'orologio non fosse più un oggetto che serviva solo per misurare il tempo, ma anche un modo per esprimere la propria personalità, con i suoi disegni sgargianti e i suoi colori.

In pochissimi anni, gli Swatch ottennero un enorme successo commerciale, come mostrano i numeri di esemplari venduti: nel primo anno, il 1983, 1,1 milioni di orologi; nel 1986, oltre 12 milioni. Il 50esimo esemplare venne prodotto nel 1988.

Molti modelli venivano disegnati dagli Swatch Design Lab di Milano, guidati da Franco Bosisio. Il marchio venne associato all'arte e alla cultura pop: vennero lanciati Swatch disegnati da Moby, Akira Kurosawa, Spike Lee e Renzo Piano, per fare qualche esempio, oltre a diversi modelli disegnati da Keith Haring (la Swatch è anche sponsor dell'edizione 2013 della Biennale di Venezia). Spesso questi modelli venivano venduti in poche centinaia di esemplari che poi crescevano molto rapidamente di valore nel mercato dei collezionisti.

The Swatch Group oggi è il più grande produttore di orologi del mondo (la Swatch ha festeggiato la produzione dell'esemplare numero 333 milioni nel 2006) e mantiene la proprietà di una vasta serie di marchi, non solo destinati al mercato di massa. Impiega 25 mila persone ed è un impero così ramificato in tutti i settori dell'orologeria che ha qualcosa a che fare con praticamente tutti gli orologi con il marchio "Made in Switzerland".

L'impero della Swatch, in accordo con le idee di Hayek, suo salvatore, è un impero svizzero. Contrariamente a una delle regole base delle multinazionali di oggi – produrre ovunque costi meno – il nucleo centrale del gruppo Swatch in tutti i settori, dalla ricerca e sviluppo alla produzione, è sempre rimasto nella zona montuosa svizzera vicino al confine con la Francia, la sede della tradizione orologiaia svizzera.