Chiunque sia minimamente informato sa che introducendo l'euro ci hanno raccontato una marea di frottole. La moneta unica serviva per realizzare due progetti: quello imperialistico tedesco (ampiamente realizzato come chiunque può constatare osservando i dati) e la disciplina delle istanze sindacaliste per mezzo del vincolo esterno tanto cara alla classe dirigente dei cosiddetti "pigs."

Un esempio lampante delle mistificazioni con cui i media ci hanno bombardato e continuano a bombardarci in maniera trasversale è la visione del debito pubblico come origine di ogni male che affligge i paesi periferici dell'eurozona.

Che lo sostenga la destra è abbastanza normale, assai più singolare è che lo faccia e lo abbia fatto quella che ancora chiamiamo sinistra.

Se il "male" fosse veramente il debito pubblico la crisi avrebbe colpito (nel 2008) per prima la Grecia (debito al 110% del Pil), successivamente Italia e Belgio (106% E 89%) e poi Francia e Germania (67 e 66 %). Ma la crisi si è abbattuta in primis sull'Irlanda (debito al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%) e soltanto in seguito Grecia ed Italia.

Appare palese come nella ricostruzione propinataci ci sia, per usare un eufemismo, qualcosa di strano. La verità è che in tutti questi paesi l'inflazione era in crescita, come la Bce indicava già nel 2006.

E come dicono tutti gli economisti non palesemente di parte, in un'unione monetaria tassi di inflazione difformi  conducono a crisi di debito estero. E che questo sia un vantaggio per le economie più forti (quelle del nord Europa in questo caso) è lapalissiano, ogni surplus implica infatti che qualcuno sia in deficit. In pratica le esportazioni diminuiscono per via dell'impossibilità di svalutare competitivamente e si deve giocoforza aumentare il debito con l'estero per garantire le importazioni.

A questo punto crescono anche gli interessi e si entra in un vortice da cui è impossibile uscire senza cambiare le condizioni (cioè la moneta unica).

Questa analisi è ormai velatamente confermata dagli stessi fautori del maledetto "sogno europeista" i quali propongono come soluzione una integrazione fiscale e politica delle diversissime economie europee; ma ciò sia impossibile è lampante se si considerano i dibattiti tra regioni più ricche e più povere di paesi come Italia o la stessa Germania; dibattiti che permettono di comprendere con facilità come sia improponibile, in un'economia capitalistica, la convergenza dei prezzi tra le varie aree.

Semplicemente nessuno vuole pagare per gli altri e se vale per stati con una storia anche lunga alle spalle, figuriamoci se può non valere per entità tra loro distanti in tutto e per tutti dalla lingua alla cultura.

Se la Germania ed i paesi del nord guadagnano grazie a questo stato di cose non c'è motivo per cui vogliano cambiarlo. E qui si chiude ogni dibattito che non sia infarcito di preconcetti.

Lo spauracchio che rimane ad oggi agli europeisti è la falsa convinzione (spesso riportata vergognosamente dai media ufficiali), per cui in caso uscita dall'euro la Lira tornerebbe al valore di quando si passò alla moneta unica. Cioè 1 euro=1936.27. Scenario fantascientifico che viene sempre condito con illazioni terroristiche che sostengono che alla riapertura delle borse la moneta crollerebbe sui mercati del 50% minimo; ed anche se le esportazioni ne gioverebbero si verrebbe soffocati dai prezzi delle materie prime energetiche.

Ma questi punti sono già stati smontati da svariati economisti quali Stuglitz e Krugman, per citare solamente i più accreditati, e soprattutto non tengono conto del fatto che in caso di uscita il cambio sarebbe ovviamente fissato uno ad uno. La svalutazione prevista sarebbe del 20% e questo non significa certo che l'inflazione andrebbe di pari passo.

Tuttavia, nonostante queste conclamate verità, noi continuiamo a doverci sorbire le paternali dei nostri insipienti (o peggio collusi)  politici -praticamente di ogni colore- che continuano a paventare scenari terrificanti in caso di un'uscita che, come disse anche il "the telegraph" più di un anno fa, "porterebbe all'Italia più vantaggi che a qualsiasi altro paese europeo, avendo essa una ricchezza pro capite maggiore della Germania ed essendo la sua combinazione di debito pubblico e privato al 265% del Pil, inferiore cioè a quella di Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone."

E questo ancora una volta lo dicono i numeri. Che a differenza dei politici non mentono mai.