Inserendo su Google la semplice sequenza di parole «messaggi privati timeline facebook», tuttora escono 545mila risultati, destinati probabilmente a crescere nel corso della giornata.

Ieri è infatti scoppiato un nuovo caso Facebook, relativo alla presunta colpevolezza del social network più famoso al mondo di aver pubblicato messaggi privati nella timeline (il diario, in Italia) degli utenti, diventati così di pubblico dominio. La denuncia è arrivata dalla Francia e da lì è stato uno scatenarsi di segnalazioni in rete che ha portato gli utenti più attenti alla propria privacy a cancellare i messaggi del periodo compreso tra il 2007 e il 2009 (a cui sembra essersi limitato il passaggio di contenuti).

Come sempre accade con le questioni sollevate dalla rete e lì cresciute fino a essere smontate e riconosciute come bufale (il tipico caso è quello delle false notizie della scomparsa di personaggi famosi, che genera commenti a fiume e spesso sconfina dalla rete per approdare alla televisione), già ieri pomeriggio il Post e altri siti segnalavano le smentite dei responsabili del social network che hanno imputato la questione alla confusione fatta dagli utenti a causa del passaggio da bacheca a timeline e quindi alla diversa gestione dei commenti e dei “like”.

In effetti, controllando personalmente i messaggi defluiti sul diario devo ammettere di aver provato una certa sensazione iniziale di smarrimento: davvero quei messaggi, lasciati da persone che non sento neanche più, erano un tempo stati sulla mia bacheca e quindi sotto gli occhi di tutti?

Mi sembrava impossibile ciò che invece è intrinseco all’uso stesso dei social network; molti di noi infatti sono convinti di preservare la propria intimità grazie ai messaggi privati, alle condivisioni di foto solo con certi selezionati amici ecc. Ma ciò che è avvenuto ieri getta un’ombra su questa certezza perché ci dimostra, in modo abbastanza eclatante visto il numero di segnalazioni fatte dagli utenti, quanto noi stessi abbiamo perso contatto con quanto pubblichiamo quotidianamente (sì, facendo una media approssimativa dei commenti, delle foto, dei singoli “mi piace” ho scoperto sulla mia pelle di interagire con Facebook molto di più di quanto mi aspettassi).

Siamo così a nostro agio col sito di Zuckerberg da dimenticarci dei nostri stessi messaggi, scritti beatamente in bacheca qualche anno fa e che ora, solo perché apparsi fuori luogo e in sequenza casuale, ci sembrano invasori della nostra intimità, minacce arrivate dal passato.

Ma la minaccia è a monte, nel momento stesso in cui ci iscriviamo a un social network e mettiamo letteralmente in mano a meccanismi che la maggior parte di noi ignora totalmente, una serie di informazioni, dati sensibili e preferenze che determinano le persone che siamo.

La vera questione è che, almeno in Italia, si è abituati ad accettare tutto con una certa passività e quindi si è pronti come ieri a urlare all’oltraggio per un motivo fasullo senza neanche prendersi l’onere di verificare attentamente ciò che stava accadendo sui nostri stessi profili, per poi dimenticare pian piano e abituarsi a nuove modalità di intrusione nel nostro privato.