La Suprema Corte diCassazione con la sentenza pubblicata lo scorso 6 febbraio, ha statuitoche opporre un rifiuto alla prestazione del test alcolimetrico è sufficiente aperfezionare il pedissequo reato, risultando irrilevante ogni successivo ripensamento da partedell'automobilista, non sussistendo in questamateria una sorta diravvedimento operoso.

La sentenza nasce dalcomportamento di un automobilista che, urtando in fase di manovra un'altraautovettura, declinava l'invito a sottoporsi all'esame alcolimetricoespressamente rivoltogli dagli agenti intervenuti sul posto, allontanandosi dalluogo dell'accertamento.

Successivamente, a distanza di un'ora, ci ripensava e faceva ritornosul posto, chiedendo agli agenti di fare il test, spiegando che il suo precedente rifiuto era dipeso da una improvvisa crisi di panico indotta dauna sua fobia per le malattie, ma tale disponibilità risultava ormai tardiva, in quanto l'accertamento risultava irripetibile per laprobabile contaminazione delle risultanze probatorie causato proprio dalcomportamento di esso automobilista, pertanto il rinsavimento ex post non lo esimevadalla responsabilità penale per il reato anzidetto.

La fattispecie criminosa contenuta nella disposizione, invero,è annoverata nella categoria dei reati istantanei ovvero caratterizzati dalla immediata lesione del bene giuridico oggetto di tutelapenale; ne consegue, quindi, che nel caso di specie, il mero rifiuto disottoporsi all'esame alcolimetrico si rileva come commissione del reato stesso.

La tempestività come condizione di efficacia del test

A nullaè valso quindi, il "ritorno sul luogo del delitto" per rimediarecon una prestazione tardiva, in quanto l'esito probatorio cui è preordinatol'esame in discorso conserva la sua piena efficacia probante soltanto se vieneeseguito nella immediatezza dell'accertamento, pena altrimenti unacontaminazione ed una inutilità dello stesso.