Prosegue il dibattito su come ricalibrare la politica monetaria europea dopo che il governatore della Bundesbank Weidmann ha ammorbidito nelle settimane scorse la posizione dei falchi sulla linea decisamente più interventista prospettata da Mario Draghi. Il Presidente della BCE, come già in passato per il bazooka sui titoli di stato denominati in euro, sembra al momento preferire la manovra sul lato psicologico delle aspettative continuando a dichiararsi "pronto a tutto" e annunciando che "i tassi di interesse resteranno bassi a lungo".

Il solerte Fondo Monetario Internazionale ha suggerito nel report di aprile un ulteriore taglio dei tassi di interesse per sventare il rischio che la spirale deflattiva possa influenzare negativamente una crescita di Eurolandia già piuttosto anemica, mentre la direttrice Lagarde ha invitato Draghi a passare all'azione calandosi nella cruda realtà dal "mondo delle aspettative".

Il taglio dei tassi però appare una misura che ha già mostrato molti limiti a causa della persistente segmentazione del mercato europeo dei capitali, il cui effetto è quello di determinare un persistente e marcato differenziale dei tassi di interesse con cui il settore privato si rifinanzia nell'area nordica e nell'area mediterranea di Eurolandia.

Le azioni sulla leva dei tassi quindi non si trasmettono in maniera uniforme nella zona euro e questa situazione è ulteriormente aggravata dalla contemporanea combinazione di altri due fattori: l'incertezza politica sul futuro dell'Unione Europea e la politica economica deflattiva che è stata applicata su tutta Eurolandia per correggere gli squilibri macroeconomici intraeuropei.

La deflazione indotta fiscalmente ha avuto effetti collaterali sul piano della fiducia e dell'efficienza del mercato europeo dei capitali con una conseguente rinazionalizzazione dei flussi degli stessi. In questo senso potrebbe risultare poco risolutivo anche il taglio dei tassi ad un livello negativo sulla liquidità parcheggiata dalle banche nordiche allo sportello della BCE.

I rischi nascosti dell'Unione bancaria

Ulteriori rischi derivano dall'avvio dell'Unione bancaria prevista per fine anno. Questa riforma, seppur positiva, mantiene un certo profilo di rischio ancora da testare nella realtà relativamente agli eventuali effetti pro-ciclici per l'economia reale che il contemporaneo rafforzamento patrimoniale previsto da Basilea III e la maggiore responsabilizzazione del settore bancario introdotto con il principio del bail-in potrebbero produrre attraverso un'eccessiva avversione al rischio degli operatori del credito durante le fasi di ciclo negativo o in presenza di shock asimmetrici.

Che fare dunque? Sul lato degli investimenti pubblici sarebbe auspicabile un rafforzamento dell'operato della Banca europea degli investimenti (BEI) e un coordinamento della stessa nella definizione delle politiche di impiego dei fondi strutturali nei vari Paesi.

Sul fronte esterno, la BCE deve abbandonare la neutralità sulla quotazione dell'euro e dotarsi di una politica di cambio che stabilisca una banda di oscillazione con le altre principali valute. Deve essere possibile un intervento sul mercato valutario con acquisti e vendite di titoli di Stato e altri asset denominate nelle valute disallineate con gli obiettivi macroeconomici generali e compatibili con la stabilità dei prezzi di Eurolandia.

Sul fronte interno, è indispensabile varare uno stimolo monetario che si trasmetta effettivamente all'economia reale nelle aree di Eurolandia in sofferenza sul mercato interbancario e corte di capitali. Una misura efficace potrebbe essere quella di consentire che determinate categorie di crediti destinati all'economia reale come quelli relativi alla PMI e agli investimenti in beni strumentali possano essere cartolarizzate in nuove speciali obbligazioni bancarie e offerte al posto dei titoli di Stato come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento.