E' uno dei provvedimenti più contestati e discussi degliultimi anni, ma il governo di Enrico Letta, pur riconoscendo lanecessità di alcune correzioni, ha annunciato più volte di non volerlamodificare nella sostanza. Stiamo parlando della famigerata riforma delle Pensioni targata ElsaFornero, promossa all'epoca del governo Monti.

Al provvedimento è riconosciuto il merito di aver garantito al sistema previdenziale risparmi ingenti: un rapporto dell'areaattuariale Inps li quantifica in 80 miliardi di spesa in meno tra il 2012 e il 2021 rispettoalle normative precedenti, anche tenendo conto dei costi delle salvaguardie.

Madi certo questo non può far dimenticare i molti problemi che la manovra ha creato, alcunidei quali hanno assunto la forma di vere ingiustizie sociali.

Tra le questioni principali ancora aperte prima di tutto la schiera degli esodati, un termine prima sconosciuto che da ormai due anni è diventato uno dei mantra più ricorrenti nel dibattito politico italiano: ben 314.576 persone che, dopo aver stipulato negli anni scorsi un accordo con il proprio datore di lavoro per mettersi in mobilità e a causa del brusco aumento dell'età pensionabile decretato dalla riforma Fornero, si sono ritrovati in una sorta di limbo, senza occupazione e senza pensione.

Ma un altro grande problema causato dalla riforma Fornero è quello dei Quota 96 della scuola, lavoratori che sempre a causa dell'innalzamento repentino dell'età pensionabile non sono riusciti ad andare in pensione nonostante i raggiunti requisiti (61 anni d'età e 35 di contributi), perchè non è stata considerata la peculiarità del comparto istruzione che segue una periodicità diversa rispetto a tutti gli altri, operando sulla base dell'anno scolastico e non di quello solare.

All'elenco di vittime della Fornero si è aggiunta da poco una nuova categoria, quella dei cosiddetti "esodati del sangue". La contestata riforma ha infatti, nella sostanza, cancellato i contributi previdenziali relativi ai giorni in cui i donatori si sono assentati dal lavoro per il prelievo. A lanciare l'allarme, poi rimbalzato in tutta Italia, è stata la sede Avis di Cremona.

Un problema di poco conto? Anche se a prima vista può sembrare così, effettuando qualche semplice calcolo si scopre che la penalizzazione non è irrisoria. Pensiamo ad un cittadino che dona il sangue quattro volte l'anno da quando ha compiuto 18 anni: egli dovrà recuperare 160 giornate di lavoro prima di poter andare in pensione, vale a dire restare in attività 7-9 mesi in più.

O, in alternativa, accettare una decurtazione del 2% sull'assegno. 

Oltre all'evidente ingiustizia, l'Avis teme che la nuova regolamentazione introdotta dalla Fornero possa avere un'ulteriore gravissima conseguenza: il calo delle donazioni di sangue nel paese. Ed è per questo che chiede al governo Letta di intervenire al più presto sulla questione.  

"Penalizzando i donatori dal punto di vista pensionistico – spiega in una nota ufficiale il presidente di Avis, Vincenzo Saturni - non si riconosce il valore morale e solidale della donazione di sangue per il servizio sanitario nazionale, scoraggiando per l'immediato futuro la chiamata dei donatori (attuali e potenziali) e mettendo seriamente a rischio l'obiettivo dell'autosufficienza nazionale di sangue ed emocomponenti.

E questo, semplicemente, non è accettabile". 

Le ultime notizie pervenute dal Civis (Coordinamento Interassociativo Volontari Italiani del Sangue) il 27 settembre parlano del lancio di "un'iniziativa normativa finalizzata a colmare la lacuna legislativa" in questo ambito che  "trova il consenso del Governo e del Parlamento" e che potrebbe essere approvata a breve. 

Vicina la risoluzione del problema? O i donatori di sangue sono destinati, loro malgrado, a ripercorrere l'odissea (ancora in atto) di esodati e Quota 96?