Il Made in Italy pezzo dopo pezzo sta andando via. L'Italia ha perso suo malgrado la proprietà di grossi marchi e molte imprese vogliono andare via a produrre all'estero, se osservate bene già dall'etichetta dei prodotti che spesso acquistiamo si evidenzia il fenomeno non molto reclamato dai media: Made in China o in Bangladesh, eppure il prodotto è italiano.

Ecco l'elenco dell'imprese non più italiane del mercato del lusso (che perdita!): Bulgari ceduto alla Luis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh), proprieraria anche di altri marchi Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi; Gucci e da ultimo Pomellato sono finiti nelle mani di Kering, antagonista storico di Lvmh, che fa capo alla famiglia di François Henri Pinault, leader della distribuzione di marchi come Fnac e Puma e che controlla anche Dodo, Bottega Veneta, Brioni e Sergio Rossi. 

Anche per gli alimentari lo stesso discorso: Unilever, multinazionale anglo-olandese è proprietaria di Algida, Santa Rosa, del riso Flora, dell'olio d'oliva Bertolli, poi ceduto alla spagnola Sos Cuetara che controlla Carapelli e Sasso, la francese Lactalis ha acquistato la Parmalat, Galbani e Invernizzi, Cademartori, Locatelli e Président; la Nestlé è proprietaria di Buitoni e Sanpellegrino, Perugina, Motta, l'Antica Gelateria del Corso e la Valle degli Orti; i sudafricani di SABMiller hanno acquisito la Peroni; l'oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard, ha comprato Gancia; i pelati AR sono finiti addirittura nelle mani di una controllata dalla giapponese Mitsubishi. 

Ma non finisce qui: le imprese italiane sempre più spesso si trasferiscono a produrre fuori.

Uno dopo l'altro alcuni marchi hanno chiuso e si sono trasferiti fuori dall'Italia, a parte quelli che hanno chiuso per fallimento, altri hanno chiuso per trasferirsi per risparmiare e far più cassa a costi più bassi di produzione e di manodopera. Fuori dall'Italia si può.

Così il nostro benamato Made in Italy, che è garanzia di qualità nel mondo, finisce con l'essere messo in secondo piano, ma non per l'invasione di altre imprese che c'è stata in passato, ma perché le nostre imprese, i grossi colossi vanno a lavorare fuori: la stessa ILVA, per cui ad esempio il problema della chiusura per motivi di salute è stato successivo proprio ad una decisione degli imprenditori di andarsene. E così anche Indesit, e tante altre, che chiudono in Italia e riaprono altrove o perché non riescono a sbaragliare la concorrenza o per i costi elevati di produzione o perché sanno quanto ci guadagnano a produrre all'estero e si trasferiscono per non fallire, quanto meno.

Fare impresa in Italia è molto costoso, e poi se si utilizza il prodotto italiano, con le sue materie prime perché non far fare tutto a manodopera estera a costi decisamente minori?

Purtroppo nonostante l'ottimismo questa è una devastante realtà per il paese che perde la sua storia la sua linfa vitale, i padri che hanno costruito il successo del Made in Italy, hanno lasciato i loro sacrifici nelle mani sbagliate da una parte, e dall'altra a crisi ha peggiorato il tutto: il costo per il paese è davvero amaro.

Urgenti provvedimenti sono necessari per dare manforte al paese e tenerci cara la preziosa produzione manifatturiera, metallurgica, sartoriale, vinicola, alimentare, di modo che almeno quello che è rimasto si salvi. Salvaguardare il patrimonio produttivo italiano che ha già perso molti elementi di riguardo, è una priorità.