La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 238 del 2009, ha stabilito chela TIA, sostituita dal 1° gennaio 2013 dall'entrata in vigore della TARES, deveessere considerata a tutti gli effetti, nonostante la denominazione adottata, cometassa e non come tariffa, così come invece ha sempre sostenuto l'Agenzia delleEntrate. Per anni i Comuni hanno applicato alla TIA un'IVA del 10%. La sentenzadella Corte Costituzionale, avendola configurata come tassa, impedisce chepossa farsi applicazione di IVA, in virtù del divieto di applicare l'IVA sulle tasse.

Nonostante la sentenza costituzionale molti Comuni hanno continuato aconsiderare la TIA una tariffa, dunque hanno continuato a far pagare l'IVA aicontribuenti. Più di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3756 del 2012, ha confermatoche l'applicazione dell'IVA sulla TIA è illegittima.

La TIA non è più in vigore dall'inizio di quest'anno, ma il contribuente hala possibilità di ottenere un rimborso la cui entità varia in base al Comune diresidenza e all'importo applicato. Innanzitutto è necessario verificare, attraversol'esame della fattura di cui si è in possesso, che il Comune abbia applicatol'IVA alla TIA.

Accertata l'applicazione dell'IVA, bisogna inviare unaraccomandata con ricevuta di ritorno all'Ufficio comunale della Agenzia delle Entrate,chiedendo il rimborso dell'IVA indebitamente pagata.

Questa azione determina l'interruzionedel decorso dei termini prescrizionali. Questo è l'iter in genere suggeritodalle associazioni dei consumatori.

Tuttavia bisogna anche tener presente che sullerichieste di rimborso l'Agenzia delle Entrate ha fissato un termine didecadenza di 48 mesi, non sappiamo a questo punto se in maniera legittima omeno.

Il che significherebbe che per gli importi della TIA versati quando sianotrascorsi 48 mesi, non è più possibile avanzare richiesta di rimborso, salvocontestare giudizialmente la stessa previsione del termine di decadenza comeillegittima restrizione del termine prescrizionale.

Nelle ipotesi di rigetto o di mancata risposta, il contribuente può valutarese sia il caso di adire il giudice di pace proponendo una apposita azione giudiziale.

Soluzioneottimale è quella della class action. Una prima class action è già stataproposta e si tratta di quella contro l'azienda municipalizzata di Roma, allaquale hanno aderito circa 5.000 contribuenti. Il singolo contribuente ha dunquela possibilità di aderire ad una class action, proposta da una associazione diconsumatori che abbia ottenuto il riconoscimento ai sensi dell'art. 137 delcodice di consumo, ossia che rientri nell'elenco ufficiale delle associazioni deiconsumatori rappresentative a livello nazionale, tenuto presso il Ministero dellosviluppo economico e consultabile sul sito internet ministeriale con appositaricerca.

Attenzione allefantomatiche associazioni di consumatori che potrebbero operare localmente essendosprovviste del potere di rappresentanza degli interessi dei consumatori, nonavendo ottenuto il riconoscimento e l'iscrizione nell'elenco tramite l'appositaprocedura prevista, e che potrebbero chiedere il versamento di emolumenti perprocedere in azioni di tutela senza averne facoltà.