Oltre 650mila licenziamenti nei primi nove mesi del 2012 con un incremento di quasi 12 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2011: questo il prospetto dei dati comunicato dal Ministero del Lavoro con riferimento all'andamento dei licenziamenti registrato nel corso dello scorso anno.



Stando ai dati diffusi, nel periodo considerato sono stati attivati 8 milioni di contratti a fronte di 7 milioni di rapporti di lavoro dichiarati estinti o fatti cessare; considerando le cessazioni dei rapporti su richiesta del lavoratore, quelle ordinate dal datore stesso per chiusura dell'attività e le cessazioni per scadenza del termine ammonta a circa 650mila il numero di licenziamenti complessivi.





Nel computo rientrano sia i licenziamenti individuali che quelli collettivi; nel solo terzo semestre del 2012 i licenziamenti sono stati 226mila, con quasi 9 punti percentuali in più rispetto al medesimo periodo del 2011. Il trend negativo si è poi confermato anche nel trimestre successivo.



A render ancora più allarmante il quadro il fatto che la maggior parte dei contratti sottoscritti preveda durate non stabili, il tutto nel solco del sempre più accentuato (ed abusato) mito della flessibilità del mercato del lavoro.



Di certo si tratta di dati allarmanti, la cui lettura – in combinato disposto con la sostanziale ingovernabilità politica che si prospetta all'orizzonte – si carica di significati ancora più inquietanti e preoccupanti. Urge in definitiva una virata decisa e netta, senza la recessione economica rischia di divenire il male minore.