Grecia. Seconda guerra persiana. Mentre gli spartani di Leonida sono sopraffatti alle Termopili dai persiani grazie al traditore Efialte, la flotta ateniese e degli alleati guidata da Temistocle (Sullivan Stapleton) si oppone alla massiccia invasione delle forze di Serse (Rodrigo Santoro), che ha affidato le forze navali alla feroce Artemisia (Eva Green).

Inferiori per numeri e forze, le navi greche dovranno fare affidamento sul coraggio dei soldati e sulla sagacia tattica del loro comandante.

Come fare il sequel di un film in cui tutti, compreso l'eroe principale, morivano alla fine della storia?

O girando un prequel, cioè raccontando i fatti accaduti prima della storia già narrata oppure ambientando il nuovo film nello stesso momento, in contemporanea.

Questa la soluzione scelta per 300 - L'alba di un impero, che si presenta come un sequel del film di Zack Snyder del 2007, ma ambientato nello stesso frangente storico e nello stesso quadrante geopolitico. Snyder stavolta è solo produttore, cedendo il testimone della regia a Noam Murro, al suo secondo lavoro.

Se il primo film era pantografato, stilizzato fino allo stremo e molto urlato, scambiando l'urlo per l'epica, questo secondo capitolo della saga ideata da Frank Miller riprende e amplifica scelte stilistiche e tecniche del primo, esasperando i difetti della precedente operazione.

Le urla e il furore, i corpi lucenti, il sangue che schizza a tutto schermo (l'uso del 3D vuole forse allettare gli spettatori vampiri?), le psicologie tagliate con l'accetta, le contrapposizioni tra liberi greci e arroganti persiani schiavisti... e ancora, i toni tonitruanti e tronfi, i proclami con voce stentorea, i colori foschi e cupi (dove sarà mai finito il solare Mediterraneo?).

Peraltro per essere un film d'azione e di guerra è fin troppo parlato, con un eccesso di parole, di spiegazioni, di duelli verbali. Anche l'uso della voce fuori campo, quella della regina spartana Gorgo (Lena Headey) è disturbante, pleonastico.

Spiccano alcune sequenze, come la traversata del deserto da parte di Serse e la sua trasformazione in dio e soprattutto il personaggio di Artemisia, che solo il fascino di Eva Green salva dallo scivolare nella caricatura involontaria. Il resto è un prodotto che non lascia grandi tracce di sé dopo la visione.