Finalmente, dopo averlo atteso per tanto tempo (il film era stato già presentato l'11 settembre 2012 al Toronto International Film Festival, ed era nelle sale americane da aprile 2013), ho potuto vedere Disconnect, pellicola molto forte che indaga sul significato dei social network e di internet nella nostra vita.

'È internet la causa dell'ignoranza?', si chiedeva qualche giorno fa Eugenio Scalfari sull'Espresso. E noi potremmo chiederci 'sono i social network la causa dell'alienazione?'. Paradossalmente, proprio lo strumento che più di tutti dovrebbe avvicinarci e renderci più umani ci allontana: Facebook è utilizzato per prendere in giro i più deboli, le chat diventano uno strumento per rubare informazioni preziose come quelle del conto in banca, e i più giovani e più poveri vengono sfruttati in un meccanismo di prostituzione video da magnaccia poco rassicuranti.

Nel film vengono intrecciate tra loro tre storie: due giovani sposi che hanno da poco perso un figlio, e ben presto perdono anche tutto il conto in banca; un ragazzino che tenta il suicidio perché ingannato e vittima di bullismo da parte dei suoi coetanei tramite Facebook, e infine il ragazzo diciottenne che si masturba in cam perché non ha nessuno che si prenda cura di lui. Ma ci sono anche il ragazzo bullo che empatizza con la vittima, il suo vissuto con un padre troppo severo, la madre persa qualche anno prima. Di ogni cosa, viene mostrata l'altra faccia della medaglia: sembra che tutti alla fine abbiano ragione, nel loro piccolo, a fare quello che fanno.

Ma tutti alla fine si ritrovano soli, e il finale non è dei più incoraggianti: seppur non tragico, riporta i protagonisti ognuno al punto di partenza.

Il ragazzino suicida è ancora in coma, e non sappiamo se si sveglierà mai più. Il ragazzo che si vende in cam continua a farlo, perché non si fida di nessuno, e la coppia che ha perso il denaro non può far altro che restituire tutti gli oggetti che ancora non aveva finito di pagare.

Protagonista assoluta del film è la solitudine, quell'alienazione che ci porta a chiuderci dietro in uno schermo, piuttosto che a chiuderci in un abbraccio con la persona amata.

Una scena significativa del film si ha quando la sorella del ragazzo suicida si confida con le amiche, parlando della preoccupazione per il fratello; una sua compagna di scuola, come se si stesse parlando del più e del meno, passa oltre e chiede se andare ad una festa. La ragazza resta sbigottita di fronte a tanta indifferenza, ma non è forse la stessa cosa che faceva lei quando vedeva che il fratello soffriva a scuola e non aveva amici?

Si voltava dall'altra parte.

Forse dovremmo imparare a voltarci di meno dall'altra parte,e a prendere per mano chi ha più bisogno di noi. Spegnere il cellulare, ditanto in tanto, e disconnetterci, non ci farà poi così male.