Violeta Parra, il film che ha vinto il Gran Premio al Sundance Film Festival 2012, è nelle sale italiane.

Un film autentico, un lavoro di trasposizione cinematografica della biografia della grande cantante cilena scritta dal figlio Angel Parra nel romanzo "Violeta Parra went to heaven". La narrazione che si alterna in un succedersi di flashback e flashforwards, intervallati da una immagine insistente, una pupilla umana, e quella presumibilmente di uno sparviero. Ma attraverso un continuum di situazioni che hanno segnato la sua infanzia.

A partire dalla scena della protagonista che mangia bacche rosse sino a quella in cui impedisce al padre di suonare la chitarra, il racconto corre fluido sullo sfondo delle montagne cilene, con luoghi ad altitudini elevate, segnati da villaggi di frontiera dove vivono minatori e poverissimi contadini in case dai tetti ondulati, come se fossero hangar di aerei.

Vediamo poi Violeta Parra attrice di una compagnia teatrale volta ad organizzare spettacoli, dove si esibisce come cantante, per poi salire su luoghi impervi accompagnata dal figlio per cercare di recuperare quel patrimonio di musica folk che ormai è rimasto incastonato nella memoria, soltanto, di qualche povero vecchio. E così, come ciliegie mature, arrivano le più di tremila canzoni che lei ha scritto e nel film se ne ascoltano alcune. Ma la fatica di questa donna non si ferma qui.

Violeta Parra è anche ricamatrice e pittrice e realizza degli arazzi originalissimi, come originali sono i suoi dipinti. Indimenticabile la scena di un funerale di un neonato. Su quelle montagne negli anni 40 e 50 era emersa la figura della confezionatrice di funerali per bambini e il regista ricostruisce un altare con il bimbo appoggiato dietro un fitto ramo pieno di fiori celesti.

Sulle sue spalle spiccano due ali di piume, mentre un vecchissimo cantore piange impietrito dal dolore.

Intanto di volta in volta l'occhio di questa misteriosa creatura insieme a quello dello sparviero rompono la scena. Finalmente si arriva al soggiorno a Parigi e al suo amore sfortunato per un artista e studioso. È un amore infelice, e quel carico di dolore che la donna si porta dentro sembra non trovare vie d'uscita regolari.

La voce vacilla, in Cile si fa costruire il tendone della Reina, dove vive e organizza i suoi spettacoli e dove nasce l'Accademia del Folk. Ma una notte di pioggia il tendone si allaga e quella voce si fa più flebile. L'interprete è una bravissima Francisca Gavilan, il regista Andres Wood.

Lavoro di ricostruzione onesto, senza accentuazioni o forzature, in una linea di fedeltà allo stile sobrio e drammatico della vita di questa donna indomabile e fragile.

Con "Gracias a la vida" il film si conclude e lascia nel cuore degli spettatori una lezione di rigore e di sacrificio, nel talento, che rappresenta un modello da imitare sempre e comunque. È negli schermi di tutta Italia in questi primi giorni di luglio, ed ha vinto il Gran Premio al Sundance 2012, festival fondato da Robert Redford nel Parck City degli Utah nel 1978.