Da vedere, questo strano film realizzato dal regista più promettente del Giappone. Dopo film come Kamikaze Girls e Memories of Matsuko, il regista, famoso in Giappone per i tanti premi ricevuti, ha dato vita a una  nuova pellicola che apre uno spaccato sull'universo degli adolescenti oggi, sul bullismo, e sulle tendenze violente e autolesioniste, per non dire criminali di certa 'gioventù bruciata'. Tanti sono i premi alla carriera di questo ardito e innovativo regista, ricordiamo il Black Dragon Audience Award, il Mymovies Award, le candidature agli Oscar nel 2011.

A dire il vero andare a vedere un suo film, ma soprattutto quest'ultimo, mostra come la camera da presa possa entrare nelle pieghe dell'anima e raccontare con gli effetti molto speciali tutti i segreti di una mente giovane e controversa. La potenza emozionale che sa creare con le sceneggiature di gruppo, con i cori, con le musiche di canzoni alla moda, con i rallenti ed i climax (proverbiale è la scena dell'esplosione del laboratorio di elettronica dove la madre del protagonista lavora e attraverso il rallenti il feedback di ritorno di tutti i pezzi sbriciolati delle pareti, dei libri, degli apparecchi e dei congegni della bomba innescata in una normalissima vecchia e grossa sveglia) è esplosiva, una vera e propria bomba che implode nella testa dello spettatore che ignaro segue sempre più rapito lo sviluppo della storia.

La stessa storia toglie il respiro, un dramma psicologico dove lo spirito di vendetta sembra essere la guida di tutte le vicende. Teatro, una scuola media, protagonista e vittima una giovane insegnante che nel discorso di apertura annuncia alla sua classe che abbandonerà l'insegnamento. Avrà il coraggio di esprimere le ragioni di tale difficile scelta lasciando di stucco tutti.

L'abbandono è legato alla scoperta che ad uccidere la sua figlioletta di quattro anni sono stati proprio due alunni di quella classe. La legge non persegue la criminalità minorile, dunque la madre è ben intenzionata a vendicarsi. E sceglierà un modo astuto e terribile. Tutte le scene che si susseguono sono intercalate da zoomate sul cielo del Giappone, sempre per osmosi carico di nubi cupe e pesanti.

E nell'avvicendarsi delle stagioni, tra una nevicata e una fioritura primaverile il colore dominante rimane una luce giallastra opaca e asfittica, tipica di interni sporchi e maleodoranti. Questo è l'animo di questi ragazzi, cresciuti senza ideali e con il solo sogno di ricchezza e matrimoni altisonanti, i padri e le madri non ci sono, e se ci sono sanno solo compatire e giustificare, mai correggere.

Così il Giappone delle sue delicatissime pitture di età imperiale si trasforma in un topos postmoderno con pochi caratteri identitari, e nelle case, come nelle case di tutto il mondo, regna sovrana una tecnologia avanzata, fatta di megacomputer, cellulari, messaggi, televisioni urlanti ,spettacoli musicali assordanti.

In questo luogo universale si consumano le vite dei due delinquenti, uno devastato dall'abbandono della madre, uno divorato dal mito del superuomo intelligente. La narrazione non conosce mezzi termini e le parole spogliano gli animi da ogni paventata ipocrisia per mostrarli in tutta la loro orribile e banale mediocrità.

Hanna Harendt scrisse, studiando i criminali nazisti, un libro cult 'La banalità del male', Nakashima, con questa storia ne illustra tutte le nefandezze e insieme lo colloca in un groviglio di assoluta mediocrità. L'operazione è identica seppure portata su fatti molto diversi e su un quotidiano che per certi versi, nel suo materialismo, diventa l'humus di una nuova criminalità.