Continuano in Bosnia le dure mobilitazioni contro l'ondata di disoccupazione seguita alle privatizzazioni e allo smantellamento di alcune importanti industrie. La rivolta, iniziata con le manifestazioni operaie di Tuzla e poi estesa a tutte le maggiori città del Paese, culminando in scontri con la polizia e in assalti alle sedi istituzionali, si sta esprimendo nelle ultime ore in presidi pacifici.

Le agitazioni hanno portato alle dimissioni dei governi cantonali di Tuzla, Sarajevo, Mostar e Bihać e del responsabile del coordinamento delle forze di polizia della capitale, Himzo Selimovic; quest'ultimo sostiene di non avere i poteri necessari a garantire la sicurezza pubblica a causa del ferraginoso assetto istituzionale.

Tra i politici, molti puntano il dito contro «gruppi di holigans»; il ministro degli esteri Zlatko Lagumdzija ha parlato di gruppi che avrebbero «l'obiettivo di distruggere [il paese]» sfruttando il malessere generale.

Non hanno contribuito a placare gli animi le dichiarazioni dell'Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, Valentin Inzko, che evoca un intervento militare dell'Unione Europea nel caso la situazione peggiorasse.

Intanto la protesta sembra travalicare le vecchie divisioni etnico-nazionali. A Mostar, città a maggioranza croata, i manifestanti hanno assaltato le sedi del partito croato Hdz e di quello musulmano Ssa, mentre la scritta «Morte al nazionalismo» è apparsa sui muri di Tuzla.

Nella vicina Serbia - su Facebook - sono apparsi appelli di solidarietà verso i manifestanti bosniaci e alla mobilitazione contro «il furto delle risorse della gente» perpetrato «attraverso guerre e privatizzazioni».